domenica 18 dicembre 2011

l'età del dubbio.

e tu mi dici che le descrizioni sono inutili e le salti a occhi pari, è vero, sono d'accordo. ma io cos'altro posso scrivere, se non succede niente.
niente di niente.
mi devo immaginare tutto, come sempre, più di sempre.
anche l'universo sul soffitto, dato che il proiettore delle stelle costava dieci volte tanto i soldi che avevo in mano.
va bene.

un va bene che sarebbe un vaffanculo, è solo un vezzo di forma.

intanto mi cadono i libri addosso, ognuno urlando il suo titolo.
una lapidazione per la mia cecità.






giovedì 27 ottobre 2011

ti ricordi via mercato.

ti trotterello dietro con i sacchi della spesa.
il marciapiede è un mosaico di scarpe e cani, i movimenti lenti della domenica mattina.
nessuno ha fretta. nessuno tranne te.
a dire il vero non hai fretta nemmeno tu, fai così solo per mettermi in difficoltà, mi sa.
ma dove vai, adorabile tortura. ma non vedi che ti tengo sotto l'ombrello anche se scappi.

siamo già passati dal giornalaio, dal supermercato e dal fiorista. abbiamo tutto quello che ci serve per chiuderci in casa, lasciare fuori le nostre vite feriali che ci piacciono così così.
potremmo essere stupendi oggi.
ho cambiato le lenzuola stamattina, mentre facevi la doccia. ho messo anche il piumone, dai andiamo ad abitare lì sotto.
ti racconterò io delle storie, quando finirai i tuoi libri sul comodino e gli altri saranno troppo lontani da raggiungere.
te lo prometto, sotto il piumone non entrerà mai né il freddo né la realtà.
che pensiero incantevole. quasi quasi te lo dico, ma tu superi ancora e mi lasci indietro.
passeggini e motorini. via mercato è così stretta, il tram che mi sferraglia accanto mi accarezza i capelli.

amore mio, ma se muoio ti fermi?

per me il tuo dietro e il tuo davanti non coincidono più ormai. siete due persone diverse.
e tu sei a casa che mi aspetti a braccia aperte, e io posso tornare e dirti, amore mio scusa non ce l'ho fatta a catturare il tuo dietro, ma sappi che a me vai bene anche a metà.
o magari devo fare io dietro front e cominciare a camminare, tanto è tutto un tondo qua, così prima o poi ti vedrò all'orizzonte che mi vieni incontro e sarò di nuovo felice.

poi succede che ti fermi all'improvviso. ti volti di scatto e mi dai un bacio con una foga che assomiglia alla violenza, a un'attesa di anni, a una distanza interplanetaria subita ingiustamente.
a me cadono a terra borse e congetture.
scusate, attoniti astanti, ma qui funziona così.
cosa posso farci io.

tutto il resto è una festa di piccole cose che dura l'era di una domenica.
siamo sereni anche quando arriva il lunedì mattina, quel buttafuori slavo che con due spintoni ti riconsegna al mondo.

venerdì 8 luglio 2011

narvali, e altri analgesici.

nei parchi a leggere, nei bar a scrivere, nei cessi a scopare.

è tornato il dolore, una fitta soltanto, quanto basta.
ritornare a chiedere dell'universo, a urlare attraverso la serratura. ancora una disfatta, quei discorsi sul senso e sul tutto che hanno il tono di un'accusa, di una supplica, di una condanna e una preghiera.
gli appunti presi a tarda notte con fatica, registrare, testimoniare e verificare il giorno dopo, alla luce del sole e del mal di testa.
setacciare i cumuli di parole, vedere se c'è un granello di concetto, una scaglia di preziosa comprensione.

niente.


nei parchi a scrivere, nei bar a scopare, nei cessi a leggere.

tornavo in bicicletta, troppo veloce, troppo buio, troppe buche.
era solo il gesto dello scappare, so fin troppo bene che non c'è via d'uscita.
facevo pensieri impossibili, duravano il tempo delle bolle con la cicca. mi scoppiavano in testa, mi restavano appiccicati dei brandelli.
fregarsene è una forma di accettare i propri limiti, anche se accettare non è la parola giusta. non si accetta mai fino in fondo. il vuoto rimane, e anche se lo circoscrivi a un piccolo punto nero nei recessi della mente, continuerà ad aspirare.
la sofferenza che genera il pensiero dell'universo, e viceversa.
e allo stremo delle forze psichiche, essere sempre lì.
percepire, ma non capire.
ma come abbiamo fatto ad arrivare a questo?
chi può essere stato tanto sadico?
se non è previsto che io capisca la realtà, me, il resto allora perché sono stata messa nelle condizioni di pormi delle domande?
ma che beffa è?

strazio e fascino, ma senza un'estetica.
struggimento e palliativi. tutto il giorno, tutti i giorni.

cos'altro posso fare?


nei parchi a scopare, nei bar a leggere, nei cessi a scrivere.




sabato 14 maggio 2011

derive in un punto fermo.

questa abominevole serenità.
un'atarassia sospetta.
una felicità quasi minacciosa.

mha, non so.
no, non mi sto lamentando.
è solo che tutto ciò non mi convince.

proprio non riesco a fidarmi delle acque calme.
non riesco a rilassarmi al sole di una esistenza così tranquilla.
sarò stupida, ma una vita privilegiata, sospesa, comoda forse non è esattamente quello che fa per me.

del resto, marinaio, la bonaccia uccide in modo più subdolo e crudele di una tempesta.

mercoledì 27 aprile 2011

l'estetica del velluto.

forse ora mi spiego perché metti sempre un velo di seta come sfondo alle tue foto, anche quando lo sfondo c'è e sarebbe perfetto così.
e capisco anche quando mi parli del verde e del movimento, e non vuoi essere chiamato poeta ma poeta lo sei.
mi piace l'eleganza con cui nascondi il tuo disagio, le forme raffinate e inafferrabili con le quali combatti la tua sofferenza, in quel tuo modo privato e intimo, senza dare nell'occhio, senza ostentare il tuo male a gran voce come tutti.

forse ora mi spiego perché non esisti.

e mi ricordo che credo nell'umanità solo perché è stato l'uomo a inventare il pianoforte.
e di quella che volta che ti ho macchiato il letto, ti ho lasciato una corsica di sangue sul lenzuolo o ho soffocato un sogno con il cuscino.

lunedì 18 aprile 2011

la filosofia del dinosauro.

la visione d'insieme.
la visione dall'alto.
come una costante matematica, alla fine di qualsiasi pensiero più o meno articolato il risultato è sempre e solo la lucidissima consapevolezza di non aver capito niente ancora una volta.

confortante.
almeno una cosa chiara.

poi certo, si può sempre andare avanti a leggere un altro libro.
accumulare teoria e morire di inazione, certi dell'inutilità del tutto.

oppure fare come me, e fregare il tempo con l'amore.
imparare ad amare, come fosse un artigianato massonico, un mestiere desueto.
una missione, oserei dire.
per questo ti chiedo solo di non risparmiarti.
fammi anche male se capita, ma non risparmiarmi niente.

venerdì 15 aprile 2011

velleità.

a portarmi fuori furono le mie gambe nude e gli amici migliori che avevo in città.

la primavera comportava calori imprevedibili. rimbalzavamo uno sull'altro in una sorta di sobria ubriachezza. ci stavamo tra le braccia, ci toccavamo, giustificati della nostra idea di affetto. era un'incerta promiscuità collettiva, dove a salvare le apparenze, se mai ce ne fosse stato bisogno, c'erano quei pochi vestiti che avevamo addosso.
sembravamo tutti animali in amore. le danze di corteggiamento, i giochi, rincorse e lotte gioiose.
dove smettevamo noi continuava il corpo, poi, in quel suo modo autonomo e inconscio che appartiene alla memoria delle cellule.
delle scopate latenti, insomma, subepidermiche.

io però avevo il guinzaglio più corto della storia, quindi rimanevo buona.
più buona che potevo, almeno.
perché poi negli sms che ti ho mandato non avevo le labbra serrate, come giù in strada.
sì, puoi dirmi che sono enigmatica e ambigua, che ti disoriento e complico le cose.
tutto vero, è così.
questo è quello che sono, il resto sta a te.

more tra i rovi.
preparati.







sabato 9 aprile 2011

immagine.

pelle bianca e lividi neri, capelli fini e occhi stanchi, da quando abbiamo fatto pace con noi stessi, armistizi con i corpi. non siamo più duttili, e ci arrendiamo.

fotografami la dolce resa alle imperfezioni.

le foto di tavoli di legno con tazze di caffè e cartine e fogli e posacenere, questo gusto contemporaneo, la stampa giapponese nella casa nordica, i pezzi di corpi.

le luci.


a farmi bella sono i libri che leggo. i pensieri che faccio. le persone su cui poso lo sguardo.




un grande tessuto di seta floreale, il mio corpo nudo, le foglie d’edera dietro.

tre veli sovrapposti, un’unica percezione.


la bellezza autentica che non mi costa.

domenica 20 marzo 2011

appena fuori, qui dentro.

il giappone che era un occhio pieno d'acqua, la libia una gola in fiamme.
i cieli primaverili miopi, non vedevamo gli aerei, ci fermavamo ai germogli a mezzo metro sopra di noi.
avrei voluto urlare.
camminavo con il viso indurito, come una modella in sfilata.
raccoglievo monetine per terra, bottoni, tappi di birra.
telefonavo a mia madre ogni ora, ogni volta come fosse un addio.

poi ti ho visto, e non eri nemmeno più tu. vedevo in te tutte le possibilità immaginate, i miei desideri così ingenui e adolescenti, le probabilità impossibili.
sciocchezze necessarie.
bustine di zucchero in bidoni di sabbia.

il temporale.
un temporale.
tuoni veri, lampi veri, gocce dritte e pesanti.
come me lo assaporavo il temporale, c'era profumo di bosco in cadorna.
come ce lo siamo goduti, il temporale, nella nostra veranda di lamiera e cuscini.






giovedì 17 marzo 2011

biglietto sul cuscino.

sparisco perché devo farlo -credimi, non c'è alternativa.
la solitudine è il sapone necessario per lavarsi via il mondo dell'apparenza e della futilità, le lusinghe, le voci degli altri. le informazioni.
la prima cosa che farò riaccendendo il telefono sarà chiamarti e dirti che sto bene.
poi guarderò chi mi ha cercato.
chi mi ha cercato e come l'ha fatto.
e da lì ripartirò.

(sul retro)
se ti senti sola è perché ti sei distratta.






sabato 12 marzo 2011

fragole nella grondaia, fox trot.

giardinaggio scellerato, alle sette e mezzo di mattina, a mani nude e ballerine chanel.
dopo che ho passato l'ultima notte in compagnia di paranoie di gran classe, con i miei cavalli di battaglia sempre al galoppo, tornerò povera e i francobolli non esistono più.
i francobolli che sembravano quadri alle pareti bianche delle buste, non i rettangoli logo/prezzo delle raccomandate della banca.
che alle tre ho dovuto accendere la luce, mettermi il cappello di paglia e svegliare di soprassalto il grammofono, ti prego suonami un fox trot.
e poi è finita che ho fatto il giro di tutti i dischi, e all'alba mi faceva male il polso e mi bruciavano gli occhi, ma almeno non ero scappata.

il tostapane con le sue due bocche da sfamare, ci ho piantato dentro delle rose.
e un tulipano nella caffettiera. non ci sveglieremo mai più completamente, resteremo tutto il giorno intontiti e inutili.
poi fragole ovunque, anche nella grondaia.

per fortuna che non c'eri e non potevi fermarmi.
per fortuna che non c'eri e non potevo ferirti.

la distanza di sicurezza dalla mia follia, nuoti a vista lontano dalle acque torbide, e penserai di me un atollo tropicale dei tuoi giorni migliori.

bene.

perché anche ora, adesso proprio, mentre bevo piano l'acqua che mi hai portato e tu resti a guardarmi con tutto questo amore, penso a me che mordo il bicchiere, mastico il vetro come fosse un cubetto di ghiaccio, inghiotto schegge e sangue e ti sorrido.

mercoledì 9 marzo 2011

confiteor

mi sento una casa infestata dai fantasmi.

sono una diga sul punto di esplodere,
una pelle d'insetto crepata e vuota.

eccoli, sono tutti qui dentro, li sto sentendo premere forte.
i grandi classici. i massimi sistemi. le correnti filosofiche, gli avvenimenti storici, i maestri di vita, la letteratura, la ricerca, le domande, l'innalzamento, l'idea dell'universo, la cultura, la scoperta, le lettere, la riflessione esistenziale, il superamento, il canone classico, il nuovo, l'incontaminato poetico, la memoria, i modelli, l'intelletto, la rappresentazione teatrale, l'immaginazione, la fondazione, l'illuminismo, il linguaggio, la rivoluzione, la saggezza antica, l'intelligenza, le pulsioni ataviche, il romanzo, la lungimiranza, il patrimonio della scienza, le idee dei geni, le vite dei grandi, la musica, le muse, la devozione al sapere, l'esperienza artistica, i pilastri della conoscenza, la perfezione.
le parole.
la scrittura.

come se tutto questo mi fosse entrato negli anni sotto forma di seme, e tanti semi hanno trovato terreno fertile nella mia mente per attecchire e crescere, e ci sono stati giorni immensi dove germogliavano in me, l'aspirazione massima della grandezza dell'uomo.
e ora sono fiorita dentro, ora anche io sono carica di semini.
ma ecco che qui mi sento dilaniare, mi sento male.
nell'espressione del mio contenuto sopraggiunge tutta l'inadeguatezza della mia condizione umana. misuro la mediocrità con spavento e sconforto, vedo lo scarto tra l'idea e la realtà, la mia goffaggine, la mia bassezza.
è una produzione spesso traumatica e sempre incompiuta.

è un parto che mi uccide.

perché le ovaie io ce le ho nel cervello.
se deve nascere qualcosa da me, è lì che si creerà.
ma sono tanto fertile quanto incapace.
la mia creazione, la mia espressione è una storia di lunghi travagli e mancati concepimenti.
i miei figli nascono idee e muoiono mal di testa, pensieri che prendono forma e smettono di crescere, li perdo nella loro forma embrionale e incompleta, è un costante lutto di un mancato inizio.
progetti ad occhi aperti e tentativi spietati di comunicare, di condividere, di scrivere.

è la storia della mia vita da quando ne ho coscienza.
non c'è pietà per nessuno, me compresa.
questa sofferenza che provo adesso avrà un nome o smetterà con me, quando smetterò io.





"il fiore è il dolore della radice"
manuel guerra junqueiro.

giovedì 24 febbraio 2011

dal sottosuolo, uno.

tu non hai colpa.
so che hai fatto tutto il possibile, so che avresti potuto fermarti molto prima.
non te ne sono grata, ma te lo riconosco.
e ora che mi chiedi spiegazioni, ti esorto solo a non odiarmi.


con parole nuove ti racconterò storie vecchie.
le mie vecchie paure che sono dentro di me come le vene.
le sento ovunque, ramificate tra gli organi, a irrorare di dubbi e angoscia anche la piccola cellula del mio corpo, come un processo biologico di anti-metabolismo.
amici miei, che siete i miei fratelli e i miei sconosciuti.
cosa vedete qui?
chi vi metto davanti?
quanto siete disposti a non sopportare per sapere chi sono davvero?


potrei morire crisalide e lasciarvi innamorati solo del mio bozzolo.
potrei non sbocciare mai, perché sto capendo solo ora che forse non mi basta una vita.
o forse non mi so organizzare.
o l'utero è un luogo della mente, e dura anni dura per sempre.
io non sono ancora nata.

non sono ancora nata.

nel frattempo giro per il mondo in personaggi irrinunciabili.
non so recitare, so vivere le vite di altri.


domenica 20 febbraio 2011

vecchie storie, storia moderna.

(temporali e primule, sulla tua pelle di seta e fango, sono sdraiata nel tuo letto capace di sogni.
mi hai cercata? mi hai voluta? mi hai aspettata?
lo so, lo sento e il mio viaggio attraverso l'italia vale la promessa di un brivido.
sarai il mio illuminismo, il mio rinascimento, il mio umanesimo.
mentre il treno mi attraversa i ricordi e le persone cambiano.
vedo tutto e non vedo niente.)

di tutte le parole che hai detto, qualcuna da vivere noi due.

che cosa abbiamo rubato, da qualcosa siamo partiti.
quanto ci siamo fatti attendere tutti e due, per capitarci a caso in un imprevisto perfetto.
quante persone abbiamo sopportato per arrivare a noi.
e sul tavolo ti metto solo il mio sorriso ambiguo, per vedere tu come ti muovi.
e sei la conferma del mio istinto, sei un fiammifero acceso che non è stato sprecato.
sorprendimi, sorprendimi ancora.

posso aspettare ancora anni contati sulle punte delle notti.

mi hai appiccato un pensiero.
brucio discreta.
aspetto il rogo.

(e le mie gambe sotto le lenzuola, come radici d'alberi ricoperte di asfalto, che ti fanno disarcionare dalla bicicletta se non ci stai attento.)

sabato 12 febbraio 2011

il capovolgimento della clessidra.

eravamo giù, alla rimessa delle barche, nella vecchia villa sul lago della nostra migliore amica.
l'autunno cedeva all'inverno, era tutto più rallentato e vivido, e noi, come sempre, avevamo un po' freddo.
gli altri erano in casa, noi ci eravamo fatti un giro per quel parco immenso, e poi eravamo finiti lì, per caso, voglia o necessità.
subivamo già l'attrazione per i luoghi dismessi, i luoghi arresi alla loro fine ma ancora fieri del loro passato. ne avevamo trovati tantissimi insieme, e avevamo passato pomeriggi a stare bene, senza conoscere ancora la parola decadenza e quanto sarebbe stata fondamentale per noi di lì a poco.
questo era il nostro preferito.
eravamo lì, innocenti e compromessi, a giocare in bilico sulla darsena, seduti a cavalcioni su una trave.
pensa, eravamo più forti anche delle mie ataviche vertigini.
stavamo facendo una specie di tris con i petali di un fiore, ma con delle regole più divertenti che avevo inventato io al momento e che ora non so più.

il mio mondo. lo scenario sempre uguale, lo sfondo delicato delle mie trame.
forse era cambiato lo sguardo, era cominciato un nuovo atto, ci ritrovavamo ma non ci riconoscevamo più.
sono passati dei minuti scanditi solo dalle ondine sugli scafi, minuti come ore, come una vita intera.
l'inverno avanzava sopraffattore, si prendeva il suo posto a pugni e raffiche di vento, ma io ho pensato:
è la mia primavera.



occhi negli occhi.



ci ha risvegliato uno stormo di anatre sopra di noi, la frizione del vento tra le loro ali.
tu che hai fatto quel mezzo sorriso, così simile a una smorfia di dolore.
e con il dorso della mano hai lasciato volare via tutti i petali.
ti sei sollevato, mi hai fatto una carezza sulla guancia, mi hai guardato senza direzione e hai detto,
ora fa freddo, dai, andiamo via.


la fine della mia infanzia e l'inizio dell'adolescenza.
un confine convenzionale che ho tracciato con una certa arroganza, come le linee tra gli stati africani, belle rette sulle cartine, insensibili ai massacri e allo scompiglio.

giovedì 10 febbraio 2011

di nascosto da noi.

ma c'è la nebbia o abbiamo i vetri sporchi?
non siamo più intellegibili come un tempo, quando eravamo così stupidi che tutto era più chiaro.
sfrego con la manica il vetro, osservo la detonazione prematura dei cento giacinti in terrazzo, sono le luci di natale della nostra primavera invernale.
parlo da sola perché tu sei a parigi.
mi chiedo quanto tempo è passato, ma me lo chiedo come se la risposta fosse già la frase.
quando tornerai dovrai rimetterti subito in viaggio per venirmi a cercare, nella terra sconosciuta e scontrosa delle mie divagazioni. che ormai quando parti e mi baci sulla porta, mi dici cerca di non allontanarti troppo.

i miei amici mi portano il cibo, come le gattare tra le rovine, come gli indigeni al tempio.
fiori frutta e film, perché tutto il corpo abbia il suo nutrimento, e la compagnia si faccia sottile e assimilabile come un gas euforizzante dissolto nell'aria.

inventeremo ancora un altro alfabeto per parlarci di nascosto da noi stessi.


lunedì 7 febbraio 2011

narciso nel pozzo.

l'autocritica feroce, il massacro mediatico a riflettori spenti, i capelli.
quel mio preoccupante disturbo della vista che non accenna a migliorare, che da vicino vedo tutto ingrandito e da lontano invece vedo così sfocato che è nebbia. la mia cortomiranza cronica, che basta tornare a terra, quando le ruote dell'aereo sbattono sull'asfalto, e io già ho perso di vista la mia proiezione ortogonale, l'orizzonte sottolineato con l'evidenziatore, mi sono già persa di nuovo. e mi capita di trovarvi ancora attraenti, appetibili, ammirabili, voi che siete il nulla, che siete l'ingannevole niente della vostra superficie levigata, che siete quelle quattro foto desaturate che vi siete fatti, voi che siete la manciata di parole che avete scritto, e pensate di essere l'evento che sposta l'asse terrestre di qualche millimetro.

vi.credete.così.importanti.

ma voi non siete un cazzo, ragazzi, spegniamo la musica e accendiamo le luci.
non siete niente di niente, vi siete ricoperti di rumore e parole grosse per non vedere.
carne passeggera, nell'assoluto effimeri, sostituibili, eventuali.
se ci fosse del genio in quello che fate, si sarebbe già fatto strada da solo.
se ci fosse del talento, non vi struggereste nell'ostentare.

voi state passando la vita a gridare che state esistendo.
e il tempo passa voi, ignorando la vostra fatica.

(sopravvivi.
nessuno ti sta guardando,
nessuno ti ha mai guardato.)

bugie
tristezza
solitudini
paure
sono di tutti.
non sei speciale.
accettalo.

m.c.

sabato 5 febbraio 2011

occhi e occhiaie dello stesso colore.

gli adesivi sui vetri, quelle etichette bianche sulle finestre delle case nuove che segnano la fine del cantiere e l'inizio dei traslochi.
le parole che non restano. e plastifico i fogli, riempio i quaderni, catalogo, imbusto, graffetto. creo il più grande archivio ufficiale della storia privata, trascrivo messaggi, copio incollo, perdo le notti per salvare le parole.
per i paleontologi del futuro, che scaveranno alla ricerca dei fossili dei nostri ti amo.
la tua collezione di aria nei barattoli, quando è caduta la mensola in camera tua, e abbiamo respirato dieci città contemporaneamente, tranne bangkok che si è salvata.
le cartoline che ci spediamo quando siamo in giro per il mondo, indirizzate a noi proprio, così quando torneremo a casa saremo felici di aprire la cassetta delle lettere, perché ci scriviamo cose bellissime e ci auguriamo di vederci presto, e chissà cosa pensa la portinaia poi.
quella frase che mi hai detto uscendo, e io non l'ho ancora capita.
e quando mi piangevi sopra e le tue lacrime mi entravano negli occhi come collirio.

la verità che sta nel silenzio e nel colore delle pillole sul comodino. perline di una collana rotta, ciondoli che hai ingoiato a uno a uno quando avevi la bocca aperta per dire qualcosa che poi non hai detto. come mia madre da bambina che mordeva la sua placchetta d'oro con incisa la madonna, ogni volta che aveva paura.
me l'ha fatta vedere da grande con tutti i segni dei morsi.
e io lì, mi son sentita morire.
ma morire, proprio.

giovedì 13 gennaio 2011

il mio addio è una porta che sbatte.

la città non aveva rumore.
camminavamo per le strade con gli occhi socchiusi, con le orecchie penetrate dalle cuffie, fecondate da musica liquida, un orgasmo interminabile e continuo, non potevamo sentire altro.

eravamo puri e informi come un diamante grezzo, pericolosi nel potenziale ma ancora innocui per la società.
bada bene, più svogliati che incapaci.
la congiuntivite a causa della polvere delle comete, noi che non mettevamo un telescopio tra i nostri occhi e il cielo, noi che non dormivamo la notte.

poi non so bene cosa sia successo. qualcosa è scricchiolato, è durato un attimo.
un singhiozzo, un crampo.
tu hai accettato di vendere qualche foglio in più, hai deciso che puoi tollerare la moquette di un ufficio.
io ho accettato di farmi accudire, ho permesso a qualcuno di prendersi cura di me.
ma un poeta non vende assicurazioni e un randagio non mette il collare.

non è grave, non c'è niente di sporco, e soprattutto non è irreversibile.
je n'accuse pas, te lo sto solo facendo notare.

sì, potremmo diventare un esempio per noi stessi, ma a che scopo?
per comprare il manifesto a cinquantadue anni e disprezzare ancora tutti, per vantarci dei capelli selvatici i miei nodi che spaccano i denti ai pettini, come pugni assestati contro ogni tentativo di disciplina? per avere ancora freddo in casa in inverno, per poter mostrare i palmi bianchi dove la filigrana non ha lasciato tracce? per avere più foglie che radici, per ridere forte nei citofoni delle ville di quelli che erano i nostri amici, i nostri simili? e poi girarsi, dare loro le spalle, e ostentare il nostro nulla come sinonimo di vittoria.

perché tu mi avevi detto, in tempi non sospetti, che anche prendere una scorciatoia significa lasciare la strada maestra.
ma la strada maestra dove porta, amico mio?
la metempsicosi di se stessi, le capriole mentre tutti corrono a squarciagola verso l'alto.

io ci sto, per me va bene.

c'è chi usa i mattoni delle sue idee per edificare, costruire qualcosa. c'è chi li lancia per distruggere, per ferire un altro. ci sono quelli che ci costruiscono mura spesse e si seppelliscono dentro.
noi chi vogliamo essere?
le nostre idee sparpagliate per terra, ogni tanto ci inciampiamo dentro, ogni tanto facciamo una pila e ci saliamo sopra per vedere un po' più lontano.

se il gesto non ha ancora uno scopo, che abbia almeno una sfumatura dolce, romantica.

e comunque non c'è pericolo che io mi perda, davvero.
anche senza cartelli saprei dove andare.
ho la stella polare nella costellazione dell'orgoglio.
e i miei no non sono caricati a salve.

lunedì 10 gennaio 2011

quando ancora mi abbeveravi.

e poi le tue parole si sono rarefatte, era come se mi avessi scritto da più lontano, come se ti fossi già alzato in piedi dalla scrivania mentre la penna finiva le frasi.
avevo lenti di ingrandimento appese ovunque, le mie dita erano pinze, avevo cambiato le mie funzioni vitali come un animale evoluto in fretta per sopravvivere al disastro.
non serviva più che ascoltassi, non serviva più il gusto, dovevo cercarti fuori dalle leggi di questo mondo, fuori dalla geometria euclidea, lontano dalla decodificazione letteraria.
capivo ciò che mi dicevi (o meglio pensavo di capire).
eri sempre un'esperienza bellissima e valevi ogni sforzo e ogni costo.
la tua stilografica che arava le pagine, i mondi che germogliavano.
le mie pupille erano nere per l'inchiostro che bevevano.

sabato 8 gennaio 2011

e poi sono arrivati con i fogli di giornale a coprirmi, come un mazzo di fiori avvolto nei necrologi di ieri, e mi sentivo soffocare, non li volevo, me li strappavo di dosso con le mani con le unghie mi graffiavo la pelle mi strappavo brandelli di pelle e notizie e mi ricoprivano ancora coi fogli dei giornali, come garze sull'ustionato, il mio sangue mischiato all'inchiostro, infettarmi della loro realtà, di verità faziose delle parole degli altri, di altri che non voglio sentire, che non voglio che esistano.
che ora vorrei farvi più male possibile e comunque non sarebbe mai abbastanza.
perché gli specchi sono distorti e gli specchi sono dentro, non c'è obiettività, non ci sono parole di conforto, di confronto, non ci sono contatti e non mi ha colpito nemmeno quando sei scoppiato a piangermi davanti anche tu, e hai urlato per la disperazione, per la frustrazione e ti sei aggrappato ai miei capelli alle mie guance mi hai storpiato per aggrapparti a me per cercarmi e piangevi come un adulto, eri straziante ma non è servito a niente, e se vuoi di là su quella scrivania c'è un foglio per i reclami, complilalo in tutte le sue parti quando ti sarai calmato e fammelo ingoiare, odiami, disprezzami, archiviami anche tu, sposati con una commessa, una cubista per trofeo, la tua maestra delle elementari che ti dica ancora bravo sei bravo.

voglio dimenticarvi tutti, tutti senza eccezioni.
e forse dovrei rivoltare gli occhi indietro e lasciarvi il bianco delle orbite per specchiarvi, che forse vi farà meno paura, vi piacerà di più del mio sguardo di adesso.

ma non mi va di compiacervi, voglio stare male e dare fastidio, se stare male e dare fastidio vuol dire essere me stessa, non posso più tradirmi, ritoccarmi, salvare le apparenze equivale a fottere se stessi.

perché anche tu ti senti un mostro e se mi dici no è ancora peggio perché significa che nemmeno ne hai coscienza.
mi fai schifo.

dio se mi fai schifo.


venerdì 7 gennaio 2011

come la lacrima del pagliaccio.

ho compiuto gli anni a diecimila metri dal suolo, e mi è sembrato di buon auspicio.
mi racconti che le hostess si sono avvicinate con lo champagne e un tortino, ma io avevo già preso il lorazepam e non siete riusciti a svegliarmi, che sembravo morta.
la situazione ti è sembrata un po' tragicomica, imbarazzante.
però abbiamo riso molto mentre aspettavamo i bagagli, e poi è apparse la vale, la vale! era sul nostro stesso aereo e non ci ha trovati, appare il giorno del mio compleanno al ritiro bagagli e mi regala un sonaglio di agata bellissimo.
poi mi dice ci vediamo e va a casa.
anche noi torniamo a casa, ma la nostra casa lontana da casa.

milano richiede prove d'amore sempre più dure. questa madre assente, questa puttana stanca. ci accoglie con gelo e buio, mentre le nostre amanti occasionali ci hanno cosparso di raggi di sole e inondato i capelli di aria profumata. hanno provato a trattenerci, ci hanno cullato di promesse.

per tutto il giorno mi hai fatto gli auguri ogni manciata di minuti, mi è servito a ricordarmi, a stare concentrata, a stare calma.
ti dico che i compleanni li festeggio blandamente, non sono questi i traguardi che segnano la vita di una persona.
ma tu, che celebri la mia esistenza ogni giorno che passa, mi porti sottoterra nelle piscine dorate, metti il mio corpo su un piedistallo, mi idolatri.
io sto al gioco per non deluderti, per aiutarti ad aiutami.

ma arriva la notte, la mia ricompensa
ti sento dormire, mi libero, scivolo via.
i miei tremori, le mie scosse lontane, questo mio malessere segreto e costante.

scrivo agli amici più vicini,
spegno il computer,
ora posso piangere.

martedì 4 gennaio 2011

sciogliti i capelli, sei in patagonia.

vorrei aver vissuto il giorno prima delle cose.
mi immagino sempre il giorno prima degli eventi.
come il 10 settembre a new york, il 5 agosto a hiroshima, il 26 novembre a casa mia.
cose così.
camminare inconsapevole e provare a sentire se si avverte nell'aria la vibrazione, la tensione della storia che cambia.
qualcosa deve pur esserci.

non c'entra niente, è un pensiero fuori luogo, dev'essere colpa di quello che mi hanno appena detto.
tipo che la tierra del fuego si chiama così per via dei fuochi accesi dagli sciamani per avvisarsi tra loro, quando si sono resi conto che stava accadendo qualcosa di mai visto.
il giorno prima che la nave vede la terra e la terra scopre la nave.

così ora siamo alla fine del mondo.
stiamo risalendo questo canale irritato, tra gli ultimi lembi di terra. lo stesso dei conquistatori, degli invasori.

siamo in barca e tu mi tieni per un'anca e una spalla. hai paura che cada giù dallo scafo, e l'ipotermia arriverebbe prima del salvagente. e poi la nostra guida ti ha detto che i granchi qui mangiano qualsiasi genere di cadavere in meno di un giorno.
noi ci siamo mangiati un paio di granchi a testa ieri notte.
quattro a zero per la nostra specie.

quello che vediamo è un po' familiare e un po' inumano.
abbiamo dei punti riferimento, sappiamo dare il nome alle cose, eppure è come se gli elementi fossero moltiplicati per se stessi, l'acqua è più acqua, il cielo è più cielo.
non lo saprei spiegare, nemmeno il mio obiettivo nikkor riesce a starci dietro.

cormorani meduse balene in lontananza.
leoni marini a mezzo metro da noi.
l'indigeno ci spiega che ogni maschio ha il suo harem, e che ucciderà ogni cucciolo maschio delle sue compagne.
poi ci indica una femmina in disparte che tiene lontani tutti, fa dei versi terribili, fa venire i brividi.
è straziante.
mi dici che la natura è crudele, ti dico che non me ne frega un cazzo, se quei cinque quintali di merda si avvicinano al cucciolo io scendo da qui e lo stordisco a colpi di macchina fotografica, tu prendi il piccolo, rassicura la madre che lo nutriremo correttamente e provvederemo alla sua istruzione.
nessuno ammazza nessuno davanti a me.

la mia giornata è rovinata, e le acque sono sempre più irrequiete.
ho la nausea da labbra viola contratte.
ci avviciniamo all'antartide, passiamo il faro, ultimo vessillo umano.
cerchi di distrarmi parlandomi di pirati, esploratori, sciamani e mappe del cinquecento.

mentre sotto i nostri piedi i due oceani si incontrano, ci abbracciamo anche noi.
tu mi baci.
io vomito.

(davanti al ghiacciaio che avanza e cade, ieri, mi hai detto la cosa più bella che io abbia mai sentito.)

sabato 1 gennaio 2011

lavati i capelli, sei a buenos aires.

il taxista ci dice no, non ci può portare.
sparano, dice.
sparano di tutto, sparano ad altezza uomo, tirano anche le bombole del gas.
attraversare la città adesso sarebbe da pazzi.
roba che napoli in confronto è un tempio buddista.

dobbiamo rimanere ancora a questa festa. noi che stavamo facendo di tutto per scappare, metterci in salvo.
preferivo le bombe a sta roba, mi dici. e io sono d'accordo, ho paura di restare traumatizzata.
ci ha portati un tuo amico, e ci ha abbandonati.

quello che vedo è surreale.
un hotel inaccessibile, ricchi stranieri dissolti, l'allegria infelice.
che sembra di essere in un film diretto da buñuel, con casting di pasolini e sceneggiatura di easton ellis.
e a me mettono in mano una banana maracas. una banana d'argento.
e le ballerine brasiliane le vecchie americane sui tavoli a dimenarsi e perdere le protesi un vecchio in completo bianco che fuma un sigaro su una chaise longue dentro la piscina camerieri nudi piume di struzzo in testa petali di rose e dollari sparati come coriandoli riporti extension parrucche di fili d'argento ballerini di tango e il pianista che mi vede smette di suonare e corre ad abbracciarmi e baciarmi come se gli fossi mancata da sempre.

e quella donna che ti ha sorriso e si è sfilata un collier tra i denti, come se ce l'avesse avuto in gola, come se la festa eravate te e lei.

che tanto ci siamo fatti gli auguri alle otto ora locale, io e te.
e tutto il resto è solo un secondo livello di sogno.