giovedì 13 gennaio 2011

il mio addio è una porta che sbatte.

la città non aveva rumore.
camminavamo per le strade con gli occhi socchiusi, con le orecchie penetrate dalle cuffie, fecondate da musica liquida, un orgasmo interminabile e continuo, non potevamo sentire altro.

eravamo puri e informi come un diamante grezzo, pericolosi nel potenziale ma ancora innocui per la società.
bada bene, più svogliati che incapaci.
la congiuntivite a causa della polvere delle comete, noi che non mettevamo un telescopio tra i nostri occhi e il cielo, noi che non dormivamo la notte.

poi non so bene cosa sia successo. qualcosa è scricchiolato, è durato un attimo.
un singhiozzo, un crampo.
tu hai accettato di vendere qualche foglio in più, hai deciso che puoi tollerare la moquette di un ufficio.
io ho accettato di farmi accudire, ho permesso a qualcuno di prendersi cura di me.
ma un poeta non vende assicurazioni e un randagio non mette il collare.

non è grave, non c'è niente di sporco, e soprattutto non è irreversibile.
je n'accuse pas, te lo sto solo facendo notare.

sì, potremmo diventare un esempio per noi stessi, ma a che scopo?
per comprare il manifesto a cinquantadue anni e disprezzare ancora tutti, per vantarci dei capelli selvatici i miei nodi che spaccano i denti ai pettini, come pugni assestati contro ogni tentativo di disciplina? per avere ancora freddo in casa in inverno, per poter mostrare i palmi bianchi dove la filigrana non ha lasciato tracce? per avere più foglie che radici, per ridere forte nei citofoni delle ville di quelli che erano i nostri amici, i nostri simili? e poi girarsi, dare loro le spalle, e ostentare il nostro nulla come sinonimo di vittoria.

perché tu mi avevi detto, in tempi non sospetti, che anche prendere una scorciatoia significa lasciare la strada maestra.
ma la strada maestra dove porta, amico mio?
la metempsicosi di se stessi, le capriole mentre tutti corrono a squarciagola verso l'alto.

io ci sto, per me va bene.

c'è chi usa i mattoni delle sue idee per edificare, costruire qualcosa. c'è chi li lancia per distruggere, per ferire un altro. ci sono quelli che ci costruiscono mura spesse e si seppelliscono dentro.
noi chi vogliamo essere?
le nostre idee sparpagliate per terra, ogni tanto ci inciampiamo dentro, ogni tanto facciamo una pila e ci saliamo sopra per vedere un po' più lontano.

se il gesto non ha ancora uno scopo, che abbia almeno una sfumatura dolce, romantica.

e comunque non c'è pericolo che io mi perda, davvero.
anche senza cartelli saprei dove andare.
ho la stella polare nella costellazione dell'orgoglio.
e i miei no non sono caricati a salve.