mercoledì 27 maggio 2009

gli oceani nostri li abbiamo solcati in verticale.

l'amore è un atterraggio di emergenza. 

non dico mai la parola mai. non dico mai la parola sempre.
ma ho detto la parola tutto. 

il mare noi non lo abbiamo navigato da una costa all'altra.
sconvolti dopo il nostro scontro, ci siamo trovati nel punto in cui siamo precipitati, e da lì, abbiamo cominciato a inabissarci uno nell'altro.
contro la resistenza che ci riportava in superficie, ci siamo spinti nelle acque più nere e inviolate.
sotto lo strato cristallino che offriamo al mondo, oltre i radar che scandagliano le apparenze.
giù, sempre più a fondo, dove nemmeno le correnti del vivere quotidiano osano smuovere le acque. 
trattenendo il respiro, ma per non fare rumore. 
ci siamo nuotati negli anfratti nascosti dei nostri segreti innominabili, abbiamo visto i ricordi affondati coperti dalle alghe morbide del tempo.
i naufraghi relitti delle nostre guerre, i forzieri arrugginiti delle nostre aspirazioni, le bottiglie alla deriva, che custodiscono le parole non dette alle persone che abbiamo perso negli uragani della vita.
le nostre lacrime salate mescolate all'acqua, sui vulcani spenti dei nostri sogni di gioventù, sulle faglie marine delle nostre delusioni, cicatrici interne del male di vivere.
poi, abbiamo ballato stretti il valzer dei palombari, tra gli ordigni inesplosi dei nostri peccati incagliati sul fondo.

siamo stati la tempesta perfetta al rovescio.
lo tsunami degli abissi che non increspa il bagnasciuga.


amore mio, gli oceani nostri li abbiamo solcati in verticale.
ti ho amato dalla spuma bianca delle onde alla roccia nera del fondale, e come un'ancora alla deriva, non sono più capace di tornare a galla.



lunedì 25 maggio 2009

ricamo.

il tuo sorriso è un centrotavola. mi scorri tra le ciglia socchiuse come un paesaggio assolato. 
mi ricordi un gioco che costruivo da piccola. disegnavo una farfalla colorata, la ritagliavo con estrema attenzione e la legavo con un filo da cucito a un bastoncino. poi dirigevo un'orchestra immaginaria di evoluzioni e ricami nell'aria. tu sei qualcosa di simile. semplice ma non facile. complesso ma non confuso. 

siamo alla frontiera del comprometterci. mi fermo alla dogana e non ho nulla da dichiarare.
sono una libera cittadina in viaggio e tra le mie emozioni c'è l'accordo di schengen.
un passo avanti.
uno solo.


ho un'allodola sul balcone e un rapace nel cuore.

le ultime parole d'amore le ho sussurrate al cane. che nelle sue orecchie di velluto rimanga l'eco di quanto l'amo. 

domenica 24 maggio 2009

nella colpa io sono nato.

ti ho preso. sono rimasta a guardarti per tutto il tempo del mio caffè, lungo lunghissimo compagno di pensieri articolati.
ti osservavo, tu leggevi il giornale e non mi hai vista. ti ho scannerizzato, ogni tuo pixel è stato inciso a tassello del mosaico nella mia scatola cranica, ti ho immortalato per tutto il resto della mia vita mortale.
un momento comune, una manciata di minuti senza valore narrativo, una situazione di inconsistenza trasformati in un attimo di lucidità assoluta, consapevolezza totale, ricordo salvaguardato dalle insidie del tempo.

ora sei mio.

(rispondo:
se non dovessi pensare più a niente di niente, passarei la mia vita in una biblioteca.
nella mia vita ideale, leggerei tutto ciò che è stato scritto, tutto il tempo, fino a consumarmi la retina.
poi scriverei anche, certo.
saggi umanistici e cartoline a casa.
ecco. nella mia vita, io leggerei.

con qualche pausa per viaggiare e fare l'amore.)

ultima considerazione: essere me in certi momenti è come essere una macchina in cui hanno assemblato il motore di un hummer nella carrozzeria di un ape cross.
poi ti chiedi perchè somatizzo, ti chiedi perchè il mio corpo va a pezzi.


salmi 51,7.

lunedì 18 maggio 2009

quando vinco, perdo.

a luci spente, spingere con il piedino per terra per fare un altro giro di giostra e cantarsi a mezza voce il motivetto del carillon.

per favore sparate adesso.

sabato 16 maggio 2009

cutting moments

oggi cronaca, per la gioia degli amanti delle serrature e di quelli della parafrasi.

concentrata sulla leggerezza, ossimoro necessario.

comincia con lo svegliarsi con una mano in faccia. dopo c'è lo scoprire che è la mia, completamente desensibilizzata a causa della posizione del suicida tenuta per dodici ore di sonno.
poi la doccia impotente contro le stalattiti di rimmel sulle mie guance e le tue iniziali sotterrate a penna a sud della mia pancia, riportate bruscamente alla memoria dall'ineludibile estetista mentre spalmava la cera.
la colazione lenta e impertinente del sabato, disegnando conigli di marmellata con le dita su tele di pane tostato, bevendo tabacco e leggendo le monde di tre giorni fa.
poi al mercato dei tossici, cercare la mano di fatima e trovare un gorilla di plastica a un euro. troppo.
poi in bici in centro, partire con l'intento di rimpolpare guardaroba e vanità, tornare con tre libri usati e un grappolo di pomodori comprati al mercato coperto di ticinese dal mio fruttivendolo monoculare e una papaya regalatami dall'ammiratore latino.
poi cinema d'essay, sola in sala con un gay e un cieco. david lynch in confronto è topo gigio.
troppa la mia empatia anche sotto l'eterno distacco. avevo la saliva liquida come prima del vomito.
poi camera mia. l'impossibile foto della bolla di sapone incastonata nell'ombelico.

poi ancora non lo so, ma lascio il tavolo verde con due aggettivi: elegantissima e insostenibile.

giovedì 14 maggio 2009

rampicanti.

siamo qui a sgranocchiarci i bordi. 
a fare rimbalzare i palloni  sulle staccionate delle nostre fiorite identità. 
a spedirci un complimento omaggio ogni due insulti, mentre declino la gentile offerta della mia compagnia telefonica e la tua proposta di matrimonio.
a fare i girotondi per tenerci per mano e creare il vuoto spinto tra di noi.

per ingannare il tempo ci siamo ingannati anche noi.
e ora che siamo esauriti entrambi, ci viene il dubbio che magari annoiarci era meglio.

quanto ci piace essere ricoperti di edera. 
tutti belli verdi, tutti senza linfa.
innaffiamo bene i nostri parassiti ornamentali, fino a coprire i cuori incisi sul nostro tronco.


tutti giù per terra.

martedì 12 maggio 2009

patridemonio.

ironia impermeabilizzante istantaneo.
come i soldi, che però vanno e vengono.
e invece con l'ironia ci nasci e te la tieni, come con il culo tondo o la lingua che si rolla.
è genetico: ce li hai o non ce li hai.

poi certo, li devi tenere allenati.
va di moda l'attacco di panico.
bisogna stare concentrati e ricordarsi dell'ironia.

senso dell'umorismo.
è il mio conto segreto in svizzera.
senso dell'umorismo da sempre.
come quando mi tappavano la bara di legno e le ho detto: mamma, non piangere. sto solo riposando in barrique.

domenica 10 maggio 2009

lagheggiare pallido e assorto.

non mi ricordo mai di quanto l'aria possa essere leggera.

stendo il telo nell'erba e sento che potrei dormire. sotto il sole educato, quasi zelante, sotto le foglie del nocciolo enorme, collane di margherite.

i rumori rurali, i profumi di una terra sepolta.


cedono i perimetri del mio cinismo.
rientro contadina dalla mie narici.


il caprifoglio, il dente di leone, l'erba cavallina.
aprire gli occhi e ritrovare tutti gli amici.
grazie di avermi aspettata, anche quando superba vi rinnegavo.

entro in cucina e preparo quattro crostate, solo per scaricare amore nell'impastare la frolla.




venerdì 8 maggio 2009

urca.

più deprimenti di queste ultime pagine, solo la cronaca del corriere e il diario di pessoa.
la ricerca del senso mi ha distrutto morale e sopracciglia.

e tu che mi stai guardando adesso, quali altre cose meravigliose potremmo fare insieme.
ma ci pensi.

alluminio.

passi la vita a fare i conti con la vita.
poi lei in un secondo ribalta il tuo grafico di excel.

la gente muore e io vorrei riempirla di domande.
mentre mi trovo qui a non saper cosa dire a chi resta.


mi si accosta un sussurro di emicrania mentre guido sulla circonvallazione.
accarezzo il perimetro di milano, per seppellirmi meglio al nord delle cose.
pulsano le tempie in ufficio, mentre sospiro piano il disprezzo su questa tastiera.
prendersi cura del coniglio di cioccolato avvolgendolo nell'alluminio, poi spaccargli la testa e mangiargli gli occhi.
in un mondo rovinato dall'inconsapevolezza.
è tutto qua ciò che mi ferisce.



mi avvolgo nell'alluminio anch'io.


mercoledì 6 maggio 2009

non invidiatemi.

ho gli occhi di vetro, palpebre di panno.
sto disperdendomi ancora.

mi invidiano. la conferma che il male mio è ben nascosto.
vorrebbero essere me. servitevi pure, non fate complimenti. preparatevi a riceverli.
indossatemi e portate a fare un giro la vostra vanità.
tenetela al guinzaglio: essere sensuali è una responsabilità sociale.
piacere è un contratto a tempo indeterminato.
il fascino non scade come la bellezza.
il fascino è potere, e chi ha potere ha sempre un peso da portare.

rimettete a voi il vostro amore e il vostro pane quotidiano.
consolatevi a vicenda, chi vuole essere me e chi vuole avere me.

e non invidiatemi.
date retta a me, non invidiatemi.

lunedì 4 maggio 2009

milano4maggio2009.

sono così stanca di voi tutti.

il rigetto di avervi davanti.
disgustata tra le corsie dell'esselunga.
con morbido disprezzo vi schivo.
non mi sforzo più di dovervi piacere.

so che il tempo sta finendo.
sappiate che il tempo sta finendo.

spero vi faccia più male possibile, poiché dopo sarò troppo serena per augurarvelo.

domenica 3 maggio 2009

repulsive.

tu chiamale se vuoi emozioni.

invidio battisti: lui tirava almeno al 21 del mese.
a me i soldi finiscono il 15.
se arrivo a fine mese con cinque euro in tasca mi danno la copertina del forbes.
e così, in questa assolata domenica mi muovo il meno possibile per non farmi venire fame. scrivo, carico foto, non ti penso. tutte cose per tenermi occupata senza consumarmi.
mi sazio al ricordo della cena tripudio.
un quarto del mio stipendio per una sorta di orgasmo.
un amico, un compagno di setta.

la fame spinge gli esseri umani a compiere gesti disperati, tipo mettere a posto la camera.
piego i vestiti, svuoto tutte le tasche dei pantaloni.
forcine, monete.
riordino i libri, mille lire usate come segnalibro.
quasi quasi converto.
poi il tesoretto, le borse.
monete come se avessi vinto alla slot-machine di plastica.
burrocacao penne forcine cicche scontrini accartocciati e piccole cose inenarrabili che la sanno lunga sulla mia vera natura.
e poi, le piccole perle, che mi ipnotizzano come un cobra nella cesta.

dalla tod's bianca esce il biglietto del the lion king.
era londra ed ero fuori di me.
il lucidalabbra spremuto e distorto. chiudo gli occhi e lo annuso come se avessi paura.
mi sposto di migliaia di chilomentri e centinaia di giorni.
troppo.
dalla sacca hippie il biglietto da visita del ristorante c.s.m.
era monte conero, ed era dentro di me, a livelli che dio solo sa se io mai.
un tovagliolo di carta con scritta una data e tre parole.
archivio subito.
dalla armani nera esce l'inverno di milano.
un guanto, la crema per le mani e un foglio piegato.
è una poesia, di quando mi amava.
poi ne trovo un altro.
è una minaccia, da quanto mi amava.

seduttrice maledetta,

ti prenderei, ora, in mezzo al nulla,
ma poi dovrei amarti.
e tu costi.
costi una vita.

sorrido se penso a quanto avevo in mano.

ora, solo la parola magnetica repulsione.
e una pila di monetine disposte in ordine di diametro.

scendo a prendere una merendina al distributore della metro.

sabato 2 maggio 2009

come ai cani manca la parola.

ho i timpani sfondati. nella testa un treno in partenza con il freno a mano tirato.
ho ballato l'inno del mio precariato in ascesa, la gioia della tristezza.
non ero con loro, anche se ero loro.

ho portato a casa le mie voglie, che mi seguono come anatroccoli post imprinting, e non mi dirottano come cavalli imbizzarriti.
sono voglie che non osano volere.
accucciate sotto la mano della ragione, che saprà ricompensarle al momento giusto.

ho aspettato tre ore esatte che il sole mi disegnasse l'ombra giusta da fotografare, la simmetria perfetta, la cromia studiata.
finalmente arriva il momento tanto agognato, mi piego nell'inquadratura ardita e un secondo prima dello scatto, un secondo, il tempo di dire -uno-, arriva una nuvola spessa come una colata d'asfalto.

ho detto solo, ma così non vale.
poi mi veniva tanto da piangere che sono scoppiata a ridere. ho girato la macchina verso di me e ho scattato.
nella foto, ho visto una persona che vorrei assolutamente conoscere.


ma alla fine.
ti scrivo che vorrei starti sempre vicino, come la u con la q.
ti scrivo che mi manchi come ai cani manca la parola.
ti scrivo che alla fine di tutto, mi importa solo di te.