venerdì 15 aprile 2011

velleità.

a portarmi fuori furono le mie gambe nude e gli amici migliori che avevo in città.

la primavera comportava calori imprevedibili. rimbalzavamo uno sull'altro in una sorta di sobria ubriachezza. ci stavamo tra le braccia, ci toccavamo, giustificati della nostra idea di affetto. era un'incerta promiscuità collettiva, dove a salvare le apparenze, se mai ce ne fosse stato bisogno, c'erano quei pochi vestiti che avevamo addosso.
sembravamo tutti animali in amore. le danze di corteggiamento, i giochi, rincorse e lotte gioiose.
dove smettevamo noi continuava il corpo, poi, in quel suo modo autonomo e inconscio che appartiene alla memoria delle cellule.
delle scopate latenti, insomma, subepidermiche.

io però avevo il guinzaglio più corto della storia, quindi rimanevo buona.
più buona che potevo, almeno.
perché poi negli sms che ti ho mandato non avevo le labbra serrate, come giù in strada.
sì, puoi dirmi che sono enigmatica e ambigua, che ti disoriento e complico le cose.
tutto vero, è così.
questo è quello che sono, il resto sta a te.

more tra i rovi.
preparati.