nella stanza poco più grande di un normale salotto mitteleuropeo eravamo in trecento cinesi.
e io stavo facendo la fila per il passaporto, per osmosi.
poi spingere il motorello nella crisi anticipatoria di caldo che mi annienterà.
mi sto già decomponendo, e rimpiango il mio inverno natale, condizione di silenzio e compostezza, eleganza e pulizia.
la colazione sulle scale, le falafel sul borso del marciapiede, il pranzo lineare, i campari col bianco ogni cento metri, il tè bianco con la pasticceria fine.
sono quello che mangio, sono le venti donne diverse che ciascuno chiama più o meno stefania.
e oggi ho esistito una giornata beat, e maledetta ansia che rosica i pilastri della terra e non mi fa mai completamente.