mercoledì 8 dicembre 2010

il lupo.

quando ancora non parlavi italiano ci capivamo meglio, io e te.
e avevamo conversazioni più profonde.
quando ti ho insegnato a contare fino a dieci è stato molto divertente.
per me almeno. ma anche per te. per il farmacista meno, ma vabbè.
uno due tre cazzo cinque sei sette culo nove dieci.
che però tu sei svelto e l'hai capito troppo presto.
anche se ora mi dicono che continui a dire culotto, e io ogni volta devo ingoiare saliva salata per non urlare che lo so, che te l'ho insegnato io, che io e te non eravamo solo colleghi, che ho una cicatrice di tre centimetri che devo a te, e tu hai un mio quaderno nascosto da qualche parte a casa tua, qualche foto segreta e forcine disperse tra i cuscini del divano e le piastrelle della veranda e... e niente.
niente, niente.
non volevo dire niente.

scusa se non ho imparato niente nella tua lingua.
non è mi è mai capitato in vita mia di non riuscire nemmeno a riprodurre una sillaba.
so qualche frase in russo e pronunciavo correttamente anche il cinese.
ma con te è stato impossibile.
il suono della tua lingua è come un ululato.
qualcosa di lontano, di ancestrale, di misterioso.

e comunque, tu non la volevi nemmeno sentire.
tu sei venuto qui per dimenticartela, forse.
e comunque, noi ci capivamo.