martedì 16 marzo 2010

quando ci malmenavamo, oh! come eravamo felici.

rivendico il mio diritto al malessere.
il mio diritto all'asocialità.
al cellophane di uno sguardo astioso che tiene lontano gli altri umani.

in verità vi vorrei tutti attorno. un abbraccio collettivo per salvarmi dall'ansia. ma alla fine le uniche due braccia che mi possano davvero aiutare sono le mie, e le sto usando per tutt'altri scopi.
sto comprimendo un anno e tre mesi di via valenza 17 in scatoloni da discount e sacchi neri. mai metafora fu più appropriata.
la rapida svalutazione della mia vita da giovane.

piango. diamine se sto piangendo.
trascuro deliberatamente le cause e guardo gli effetti: lacrime e rimmel su magliette e vestiti che nemmeno mi ricordavo di avere.
barricate nelle profondità dell'armadio, custodi di profumi e macchie di un'era geologica trapassata. si può forse non piangere? a me viene da morirne.
comincio a pensare che per correttezza intellettuale non dovrebbero più essere indossate, né tanto meno trasportate nella nuova casa. come certi pensieri, come certe speranze che mi ero messa addosso, ormai fuori moda, ormai troppo strette.

come quando mia mamma faceva i sacchi di vestiti da dare ai bambini della bosnia.
in questa scatola mi abbandono in mezzo alla strada.
mi sto amputando.