mercoledì 17 giugno 2009

il giorno in cui abbiamo perso gli occhi della nonna.

sulle tue ciglia, suono quel piccolo passaggio che so fare con il pianoforte.
tu non ti svegli, ma sorridi.
mi basta come colazione.

mi alzo inciampando nei sogni interrotti, non siamo alla tua casa al mare, e il livido che mi verrà sul fianco me lo ricorderà per giorni.
seguo le mie traiettorie oniriche al benbuio, per non svegliare te. per non svegliare me.

chiudo il tuo odore nel pugno.
bevo l'acqua dalla doccia. 
non mi saluto allo specchio, lascio che siate voi tutti a prendervi cura di me.

mentre guadagno il naviglio sulla mia bici riflessa, mi sento in debito.
tutto quello che mi manca è qui dentro da qualche parte e sale come una preghiera in una cattedrale abbandonata, come il richiamo del superstite sotto la polvere ormai ferma, come l'inno del tuo paese portato dal vento, nel campo dell'esilio.
mi fermo. 
l'allarme del respiro profondo, dei denti affondati nel labbro sotto.
l'improvvisa emergenza.

mi sento come se dovessi piangere, e nemmeno mi ricordo come si fa.

mi sforzo di ricordare la voce di mia nonna.
come quando diceva: lassia fare. 
lassia fare.

è bastata la distrazione di una generazione per perdere i suoi occhi.