-la cosa che mi lascia più amareggiata di tutta questa sporca faccenda- diceva lei mentre tagliava il grosso cuore a fettine sottili -è che nessuno, me compresa forse, ha creduto mai nel mio talento. nessuno che mi abbia mai spinto a disegnare, spronato a fotografare, incitato a scrivere. è da quando ero bambina che ricevevo complimenti e apprezzamenti e basta. insomma, mai nessuno che si sia sporto un po' in avanti, che mi abbia dato una spinta per fare di più-.
io guardavo alternativamente il cuore sminuzzato sul tagliere e le sue poche opere appese alla parete, per le quali dovevo riconoscere di provare una certa ammirazione.
-così mi sono sempre trovata in bilico tra la mia scarsa autostima e il mio bisogno di esprimermi, in un perenne oscillare tra creare e distruggere, mostrare e nascondere. che dici, ci fidiamo a darglielo crudo o lo passo un attimo sul fuoco?-
la guardavo: era ancora molto bella. la sua era una bellezza classica, antica, che non apparteneva alla sua epoca. una bellezza che il tempo aveva amalgamato alla sensualità della sue parole, al fascino dei suoi gesti esperti nel maneggiare la vita.
cotto è meglio, ho risposto.
quanto costa un cuore, ho domandato.
-meno di quanto si pensi- ha sussurrato lei, lasciando scivolare i pezzi in una padella. -anche perchè, come insegna il reparto macelleria, il cuore è una frattaglia.-
ho annuito.
l'ho guardata, ho guardato le foto.
il cane, seduto tra le mie gambe, deglutiva rumorosamente e mugulava la sua impazienza.