ho i timpani sfondati. nella testa un treno in partenza con il freno a mano tirato.
ho ballato l'inno del mio precariato in ascesa, la gioia della tristezza.
non ero con loro, anche se ero loro.
ho portato a casa le mie voglie, che mi seguono come anatroccoli post imprinting, e non mi dirottano come cavalli imbizzarriti.
sono voglie che non osano volere.
accucciate sotto la mano della ragione, che saprà ricompensarle al momento giusto.
ho aspettato tre ore esatte che il sole mi disegnasse l'ombra giusta da fotografare, la simmetria perfetta, la cromia studiata.
finalmente arriva il momento tanto agognato, mi piego nell'inquadratura ardita e un secondo prima dello scatto, un secondo, il tempo di dire -uno-, arriva una nuvola spessa come una colata d'asfalto.
ho detto solo, ma così non vale.
poi mi veniva tanto da piangere che sono scoppiata a ridere. ho girato la macchina verso di me e ho scattato.
nella foto, ho visto una persona che vorrei assolutamente conoscere.
ma alla fine.
ti scrivo che vorrei starti sempre vicino, come la u con la q.
ti scrivo che mi manchi come ai cani manca la parola.
ti scrivo che alla fine di tutto, mi importa solo di te.