lunedì 8 novembre 2010

i quaderni dell'equilibrio uno.

teneva una sigaretta al contrario e straparlava di foto hong kong sua madre modelle e chitarre.
faceva freddo, faceva buio, nessuno dei due era vestito a sufficienza, ed eravamo di un idealismo insospettabile, insopportabile, insostenibile.
e io continuavo a prendere la scossa dalle mie lampade monche, e la cosa mi sembrava molto più triste del fatto in sé. mi sembrava vivisezione di cavi e operazioni senza anestesia a piccole cassette di derivazione aperte sotto le mie dita incapaci e violente. mi sembrava uno stupro di piccole cose che volevano essere lasciate in pace, non volevano unirsi tra loro, non volevano sciogliere i propri nodi in cui si erano abbracciate strette, rinunciando a se stesse.
più piangevo più volevo la luce.
infierivo sui miei embrioni di luce e loro mi mordevano forte le mani.
hai visto i polpastrelli bruciati, ti hanno fatto paura gli occhi.
filtrava la pioggia, la sigaretta era umida noi eravamo già malati.
sulle ginocchia i nidi abbandonati, la muffa, cataplasmi di polvere.
mi dicevi non puoi andare avanti così, ti prego smettila, ma chi cazzo sei, la figlia dio?
avevo pensieri atroci, soffrivo la sofferenza di essere estranei, era un inferno.
mi abbracciavi, mi dicevi sei bruttissima così adesso basta.
torniamo giù.

lo sciroppo per la tosse che ci fa dormire tutta la domenica pomeriggio, coi nostri cani immaginari sul divano e quella radio argentina che si sente dal muro.

tutti progetti che non si sarebbero mai realizzati, non ci saremmo mai realizzati noi.
ma a noi non interessa, non è quello il punto.